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Insegnare le scienze/Appunti

È abbastanza ridicolo che le prime lezioni sull’epistemologia si facciano in genere (quando va bene) in quinto superiore, di solito dopo aver presentato personaggi come Freud come “scienziati” e aver creato i presupposti perché si capisca che “il complesso di edipo” sia qualcosa di paragonabile alla “legge di gravitazione universale”.
Eppure senza epistemologia non si può nemmeno capire perché la teoria tolemaica fu soppiantata da quella copernicana, e in effetti ai ragazzini si dice spesso che la prima era sbagliata mentre la seconda era giusta, ed è una fortuna che nessuno di quei ragazzini sappia nulla di entrambe, perché altrimenti si farebbe una risata.

Io ricordo per lo meno che il metodo scientifico (quello galileiano) ce lo spiegarono in terza elementare, per poi usarlo per fare degli esperimenti (mai reali, sempre simulati o immaginati: che scuola terribile) magari sull’acqua, o sulle piante, o via dicendo. Si facevano vedere degli esperimenti “famosi” che avevano dimostrato cose importanti, ma mai che nessuno ci abbia mai fatto riflettere sul reale significato di quegli esperimenti. Qualcuno dirà che era troppo presto, ma allora era troppo presto anche per dire “la terra è tonda e non piatta come credevano nel medioevo” (cosa che poi nel medioevo nessuno si sarebbe sognato di dire) e altre simili amenità che servono a far credere i ragazzini di essere superiori ai loro antenati, mentre magari non si accorgono nemmeno dell’acqua che evapora dal bicchiere che hanno di fronte.

L’insegnamento della scienza dovrebbe consistere di due percorsi: il primo è la matematica, che per sua natura è deduttiva e così va necessariamente insegnata, assieme alla logica; il secondo invece deve essere condotto spingendo il ragazzo a formulare ipotesi su fenomeni che può manipolare, e spingendolo a sbagliare di continuo in modo che possa continuamente affinare la sua ipotesi. Quando il ragazzo cesserà di sbagliare gli si forniranno strumenti migliori, in modo che possa riconoscere che la sua ipotesi, pur avendo raggiunto un grado di perfezione superiore a prima, è ancora imperfetta. A questo punto si potrà indurre una riflessione sul percorso della conoscenza e, finalmente, raccontare la storia delle teorie scientifiche.
Poi sarò di coccio io, ma trovo imbarazzante che nel 2015 (.cit) ci sia ancora gente che crede alla storia della terra che gira attorno al sole perché gliel’hanno detto a scuola Emoticon grin

Didattica, realtà, concretezza e AAOL/appunti

Il motivo per cui anche i “nuovi” modelli didattici non possono funzionare è che non riescono a calare gli argomenti e gli apprendimenti nella realtà.
Si tenta, sì, di calarli nel concreto, ma non ci si spende nel creare l’esigenza della tale conoscenza o competenza: la massima esigenza che si riesce a creare (anzi, a sfruttare) è, di solito, quella della gratificazione o della mancata punizione. Roba pavloviana. Stupida. Barbara. Ma finché non si riesce a fare di meglio bisogna tenersela.
A volte alla gratificazione del voto si sostituisce la gratificazione di aver fatto un buon lavoro, ma è ancora poca roba. In quei casi si accende l’esigenza di studiare, NON l’esigenza di conoscere l’argomento x. Mentre è palese che l’argomento x si apprende bene soltanto quando diventa un’esigenza di per sé, un’esigenza reale e, in quanto tale, anche contingente.
Facendo un esempio molto scautistico, è innegabile che siano cose ben diverse imparare ad eseguire il nodo bolina per superare una prova della seconda classe o impararlo per non rischiare più del dovuto quando ci si deve affidare ad una corda: nel secondo caso è qualcosa che mi serve davvero, un’esigenza reale, perché io VOGLIO fare quello che devo fare con quella corda e VOGLIO farlo rimanendo incolume.
Imparassi in classe che esiste quel nodo e che potrebbe servirmi, ipoteticamente, in caso dovessi stare a penzoloni su una corda non sarebbe affatto la stessa cosa. Potrebbe essere concreto, potrei anche provare ad usarlo, ma in un ambiente protetto l’apprendimento non funziona, o almeno non in maniera completa.
Questo per dire: si possono pensare mille modi di passare una conoscenza o una competenza, ma se l’esigenza non è reale (non semplicemente concreta: REALE) non funziona, se io devo preparare una cazzo di presentazione power point solo perché il corso lo prevede e perché poi ci sarò valutato, il lavoro di quella presentazione puzzerà di plastica come non mai, sarà oltremodo stressante e, probabilmente, anche inutile, se non per l’apprendimento di qualche procedura secondaria.
Se invece devo preparare una presentazione di power point perché ho un destinatario REALE che ha REALMENTE bisogno di quella presentazione e per cui sento l’esigenza di fare un bel lavoro, l’apprendimento sarà sicuramente migliore, più veloce e più efficace, perché le conseguenze saranno allo stesso modo reali.
Allo stesso modo (e qui parlo della mia personale esperienza), se devo studiare la pagina X di Kant per ripeterla all’interrogazione la mia esigenza non è reale, se invece devo studiarla perché mi serve a sputtanare il coglione che incontro su internet e che merita di essere sputtanato senza pietà… la pagina di Kant me la ricorderò per sempre.

Qui sta tutto il problema dell’educazione formale: come conciliarla con le esigenze reali dell’educando? Come evitare che la proposta didattica risulti artificiosa e insensata? Come portare nella scuola di massa uniformata ciò che è personale e contingente?
Il fatto è che non basta scendere nel concreto ed usare la matematica pensando di essere al supermercato e di dover avere il resto, occorre scendere nel reale ed usare la matematica quando si è al supermercato e si deve avere il resto giusto. Ma come introdurre questo nella scuola? Non certo con degli AAOL che sanno di finto e puzzano di pillola indorata da chilometri di distanza…