Archivio mensile:Maggio 2021

Le anime bambine del Purgatorio – Dov’è tuo fratello?

«Quello che conta di questa storia è che il Padre, prima di fondare questo posto, era un ragazzino solo e triste. Un ladruncolo senza speranze. Come noi.»

«Come me. Tu non hai mai rubato.» mormorava.

«Come te. Ma il Signore gli ha chiesto una cosa grande e bella, e lui ha condiviso con generosità le sofferenze di quell‘anima in pena che era diventata sua amica. Ha scoperto la gioia di donare la sua vita a Dio, e non è più stato né triste, né solo. E ora noi abbiamo una speranza grazie a lui.»

«Un’anima in pena… Un’anima bambina del Purgatorio… Ci chiedono sempre di pregare per quelle, ma perché? Che colpe vuoi che abbiano i bambini? Sono gli adulti che rovinano il mondo! Avanti, uno come te Gabriel…» si era fermato un attimo perché, avendo alzato lo sguardo su quello duro del fratello, aveva dubitato di ciò che stava per dire «Avanti… Che peccati vuoi che faccia? Io pregherei perché tu cresca forte e sano, non per la tua purificazione.» aveva detto, piano.

«A parte che di peccati ne faccio proprio tanti…» si schernì Gabriel, con pudore, poi iniziò a parlare più dolcemente «Non è questione di chi ha la colpa, Simon, o dei peccati dei bambini. Il male è come l’olio, o l’inchiostro, se lo si versa si infiltra dappertutto, e soprattutto dove ancora non c’è. Anzi, è un fango. Proprio perché i bambini sono innocenti il male li aggredisce, si accanisce su di loro: il diavolo odia i bambini e la loro innocenza più di qualunque altra cosa! E allora un bambino che resta solo che può fare? Può cercare di nascondersi, di resistere il più possibile, sperando che passi… Ma alla fine quel fango lo copre, lo sommerge e lo soffoca. E il bambino diventa un adulto cattivo, se sopravvive. È tutto lurido, e sporca tutto quello che tocca. Ma non deve andare per forza così.» per la prima volta in quella conversazione aveva sorriso, e nel ricordarlo Simon strinse un po’ più forte Nomis. «Invece di aver paura, di provare a scappare o di stringere i denti, se qualcuno ci porta Gesù possiamo fare come Lui. Il fango che ci hanno versato addosso, il male… Possiamo scioglierlo nelle nostre lacrime e nel nostro sacrificio. Possiamo diventare coraggiosi, con la forza di Gesù, e abbracciare quei mostri coperti di fango che ci facevano male, che poi una volta erano bambini come noi… E prenderci addosso tutto il fango, perché tanto sappiamo come si scioglie. E se ce lo prendiamo per portarlo a Gesù, come facciamo con i fiori dell’altare… Non lo spargeremo più in giro, il male non continuerà a propagarsi, non a partire da noi. Riesci a capirmi?» riprese subito, senza dare spazio alla replica «Prima si impara a combattere il male con l’amore e il sacrificio, meno male sarà sparso in giro. Nessun bambino può fare questo da solo, nessuno può riuscirci se qualcuno che già si è liberato dal fango non va a sporcarsi di nuovo per tirarlo fuori prima che la sua innocenza soffochi! E questo per alcuni lo possiamo fare con la preghiera, perché sono già morti e hanno paura che Gesù si arrabbierebbe nel vedere come sono sudici. Per altri si fa come… Come padre Raphael ha fatto con noi, no?»

Simon era rimasto senza parole, incapace di resistere alla piena di quell’inaspettato fiume di eloquenza. Aveva aspettato che le acque si calmassero per cercare quello sguardo fiducioso e cristallino che lo passava da parte a parte e appurarsi che non fosse farina del sacco di suo fratello:

«È la lezione di padre Raphael questa che mi hai ripetuto?»

«No, me l’ha spiegato il Padre Maestro.» aveva risposto lieto il ragazzino, senza riuscire però a nascondere una punta di amarezza.

Simon sentì l’impulso di voltarsi e di fare qualche passo nella direzione opposta, proprio come aveva fatto quella volta, ma continuò comunque a salire. Come lampi i quattro angoli del chiostro in cui era solito ritirarsi per evitare il tempo del gioco gli passarono davanti agli occhi. Li aveva ispezionati uno per uno, cercando di placare il suo cuore ribelle, prima di chiedere al fratellino ciò che temeva di aver capito.

«Tu credi che…» mormorò sommessamente «Credi che io stia soffocando in quel fango?»

«Ci sono successe tante cose brutte Simon.» aveva iniziato quello, avvicinandosi e prendendogli una mano «Ma non dobbiamo vergognarci, non potevamo farci niente.»

«Sì ma io… Io…» si era ripreso la sua mano per nasconderla nella manica «Tu cosa pensi di me? Dove sono, in questa storiella che ti ha raccontato il Maestro?»

«Tu…» Gabriel prendeva tempo guardandogli le scarpe «Io sono sicuro che un giorno tirerai fuori dal fango tanta gente.»

«Stai cercando di evitare di rispondermi.»

«Se è questo che hai capito, smetti di chiedere.» aveva ribattuto il fanciullo, un po’ più duramente.

«Una volta ci dicevamo tutto.»

«Una volta io ti dicevo tutto, Simon.»

«E anche io, quello che potevi capire.»

«Adesso c’è qualcosa che tu non puoi capire, va bene?» aveva detto, piano, con la voce che gli tremolava «Non insistere.»

«Va bene, Gabriel… Ma se pensi che io sia immerso nel fango…»

«Non insistere, Simon.»

E invece lui aveva insistito. Aveva fatto bene a farlo? Si domandò, gemendo per il dolore mentre un piede gli scivolava via e la ferita sulla caviglia opposta minacciava di riaprirsi.

«Ti prego, non sporcarti per me. Non farlo mai. Non ci provare, ti prego.» lo aveva implorato, fissando i suoi grandi occhi verdi.

«Simon, sei la persona a cui voglio più bene in questo mondo.»

«Che vuol dire?»

«Che quando ne avrai bisogno, non potrai impedirmi di fare quello che devo fare.»

«Ma ti odierei, non potrei sopportarlo.»

«Se serve a salvarti, va bene anche se mi odi.»

«Ma chi ti credi di essere?» Aveva replicato con disprezzo «I monaci ti hanno montato la testa.»

«Sono tuo fratello.» aveva detto però quello, strofinandosi gli occhi con la manica bianca «Tuo fratello. E ho imparato da te, non dai monaci. Smetti di insistere, ti prego.»

«Se mi vuoi bene non devi preoccuparti per me.»

«E tu se mi vuoi bene devi stare zitto.» piagnucolò la voce dal cielo, mentre il Gabriel dei suoi ricordi si voltava dall’altra parte e svaniva.

Il silenzio tornò a torturarlo con ferocia ancora maggiore.

[Dov’è tuo fratello?, Ventidue giorni e ventidue notti]

La strada del risveglio – Il Fiume di Fuoco

Don Lorenzo Bianchi ha aspettato la vigilia di Pentecoste per scrivermi qualcosa sul “Fiume di Fuoco“, che ha finito di leggere mesi fa, quindi immagino sia il giorno migliore anche per pubblicare il suo commento 😉

” “Mi svegliai”.

Con questo improvviso ritornello, siamo accompagnati lungo tutta l’opera, osservando le gesta di Ishramit e di Franz. Un ritornello, però, volutamente ingannevole: attraverso vari piani di lettura e varie epoche che coesistono all’interno delle pagine, ci rendiamo facilmente conto che i due protagonisti sono tutt’altro che “svegli”. Il compito di risvegliarsi sarà la linea-guida che li porterà a confrontarsi con draghi, fate, sirene ed eremiti: ciascuno di loro può essere d’aiuto risvegliando in loro virtù dimenticate, per farli diventare cavalieri; ognuno di loro può ostacolarli risvegliando in loro i vizi più bassi, rivoltandoli l’uno contro l’altro e contro se stessi. Il tutto nella consapevolezza mai espressa che una Via che non sia all’insegna della Verità, alla fine, non può essere una vera Vita: ultima ancora di salvezza, allora, diventa l’imponente fiume infuocato con cui si apre il volume.

Placido e roboante, vivido e silente, scorre sin dalla creazione del mondo, portando con sé le preghiere e le speranze delle genti; per coloro che sono stati corrotti diventa l’ultima strada possibile da percorrere. Solo al termine di essa sarà possibile svegliarsi veramente, potendo finalmente abbracciare Colui che ci ha abbracciati nel profondo.”

Un ladro di polli al capolinea – Dov’è tuo fratello?

Nomis non sapeva cosa dire, dunque non parlò; rimase immobile, senza lasciare il braccio dell’amico, sforzandosi di tenere lo sguardo fisso tra i rami contorti del bosco. Simon invece continuava ad avere davanti agli occhi il corpo nudo di Agnes e ogni tentativo di scacciarlo non faceva che indurgli con più forza la nause, finché non fu semplicemente troppo stanco. Chiuse gli occhi, e si fece tutto buio.

«Padre, non avreste dovuto pretendere che quel contadino ci facesse mangiare alla sua tavola, ora sarà ancora più…»

«Non preoccuparti, figliolo. È un brav’uomo, non ha mai avuto intenzione di farti del male.»

«Ah no?»

«No. Voleva solo spaventarti, e con buone ragioni. Anche se i metodi sono stati un po’… discutibili.»

«Buone ragioni?»

«Farti capire che se continui a vivere in questo modo qualcuno finirà per farti del male. O tu finirai per fare del male a qualcuno. È una buona ragione.»

Simon sbuffò insieme alla sua voce del passato che aveva di nuovo invaso il cielo. Si strinse inavvertitamente i genitali tra le cosce e digrignò i denti per il dolore.

«Dove sono i tuoi genitori?»

«Sono morti.» rispose la voce con freddezza.

«Una casa ce l’hai?»

«No. Abbiamo trovato un buco vicino… Da qualche parte.»

«E da quanto tempo ti svuoti il piatto per riempire quello di tuo fratello non appena si distrae?»

La voce del passato tossì, mentre Simon si sentì drizzare tutti i peli del corpo e aprì gli occhi per un istante. «Ve ne siete accorto.»

«Sono sicuro che anche lui se ne accorge. E ci soffre.»

«Io non voglio che abbia fame.» sì udì solo un filo di voce.

«C’era da mangiare in abbondanza per tutti su quel tavolo. Non avrebbe avuto fame.»

«È che non mi piaceva… Padre, cosa volete da me?» ruggì quasi «Io so badare a me stesso.»

«Mi sembra evidente che non lo fai invece. E nemmeno a tuo fratello.»

«Cosa?»

«Non alzare la voce. Ti sto parlando come parlerei ad un uomo adulto.»

«Perdonatemi.» sbollì «Lo avete visto mio fratello, no? È sano, sta bene. Non mi sembra di aver fatto così male.»

«Non fraintendermi, Simon. Tu ami tanto tuo fratello e fai tutto quello che puoi: è molto bello questo. Ma se continui così le cose finiranno male. Tu ti stai ammalando, e lui non potrà…»

«Mi sto ammalando?»

Simon ritornò per un momento in sé e ritrasse la mano da quella di Nomis. Subito se ne pentì e la afferrò. Il ragazzino lo guardò perplesso.

«Vuoi partire?»

Simon avvicinò l’altro indice alla bocca, e chiuse di nuovo gli occhi, stringendolo più forte.

«Non si possono fare certe cose a lungo Simon, non senza rovinarsi… L’anima, lo spirito e anche la salute. E se una di queste cose succede, a pagarne il prezzo sarà soprattutto Gabriel.»

«Io non penso che…»

«Sei poco più che un bambino!» fu il monaco questa volta ad alzare leggermente la voce «È normale che tu non ti renda conto di ciò che può succedere, ma basta guardarti per capire che non puoi resistere in questo modo per più di qualche mese ancora.»

«Io sono più forte di quello che credi.» brontolò.

«Tu sei molto forte, ma anche molto sciocco. E orgoglioso.»

«Voi non mi conoscete, non dovreste giudicarmi.» sibilò la voce di Simon.

«Giudico le tue parole, e sono quelle di uno sciocco e di un orgoglioso.»

«Che cosa dovrei dire, secondo voi?»

«Che hai bisogno di aiuto.»

«Io non ho bisogno di aiuto.» ringhiò.

«Nemmeno tuo fratello?»

«Mio fratello ha me.»

«E se il prossimo che derubi ti fa sbranare dal cane, invece che chiuderti in cantina? O se soltanto ti rompe una gamba? Che farà Gabriel?»

«Dio non permetterà cose del genere, no?» mormorò la voce, e Simon risentì i brividi.

«A Dio non piace essere sfidato.» sentenziò l’uomo.

Ci fu silenzio.

«Ora rifletti. Tu hai sempre pensato prima al bene di tuo fratello, no? Fallo anche ora. Qual è il bene di tuo fratello? Vivere da vagabondo finché tu non cederai o accettare che qualcuno vi aiuti?»

«Voi volete aiutarci?»

«Il nostro monastero è stato fondato proprio per questo.»

«Non per pregare?»

«Certamente, per pregare. Preghiamo perché i bambini e i ragazzi che si perdono, che siano ancora vivi o meno, ricevano aiuto per ritrovare la strada. E teniamo aperta la porta, perché abbiano una casa dove tornare.»

«Quindi volete che questo monastero diventi la nostra casa…»

«Sì, almeno finché non sarete abbastanza grandi da badare davvero a voi stessi.»

«E come farei con il contadino? A pranzo mi avete fatto promettere che avrei lavorato per ripagarlo.»

«Lavoreresti con noi in monastero, poi provvederemo a restituire tutto ciò che hai preso… Un po’ di più di quello che hai preso, naturalmente.»

«E mio fratello avrà da mangiare tutti i giorni?»

«Senz’altro. E tu sarai costretto a mangiare.»

«È ora di andare, Nomis.» grugnì Simon, alzandosi in piedi, trattenendo un gemito «Dobbiamo trovare tuo fratello.»

«Sei sicuro di star bene?» domandò lui, con aria preoccupata.

«Sai Nomis? Non so se sono mai stato bene.»

«Che significa?»

«Niente.» fece lui, scuotendo una mano di fianco alla faccia «Non voglio più stare fermo comunque, non voglio più pensare.»

[Dov’è tuo fratello?, Sedici giorni e sedici notti]

Il Martire, il Re conservatore e il Drago della rivoluzione

Pubblicato per la prima volta il 23 Aprile 2021.

La coincidenza tra la memoria di San Giorgio e la beatificazione di 10 martiri del Quiché ci offre l’opportunità di una riflessione.
Credo che tutti conosciamo la storia di San Giorgio così come narrata nella Legenda Aurea: c’è questo re che chiede al suo popolo di sacrificare i propri figli al Drago, non più contento di qualche pecora, e quando tocca a sua figlia non vuole farlo. Il popolo non ha compassione di lui, vuole trattarlo con la stessa moneta, così la principessa viene consegnata al Drago. Sarà salvata da San Giorgio, che però NON ucciderà subito il drago. Lo porterà nella città al guinzaglio. Il Re e il suo popolo dovranno convertirsi e farsi battezzare, solo allora il drago morirà. Nella storia non c’è un solo cattivo, che sarebbe il drago, ma ce ne sono tre: il Drago, il Re, il Popolo. Sono tutti coinvolti in un sistema di iniquità che il Santo viene a distruggere.

Credo che la stessa cosa sia successa in Guatemala. Siamo in Guerra Fredda, come in tutti gli stati fantoccio americani il Regime Militare legittima la sua autorità sulla paura del Drago, del Comunismo. A questo scopo pretende sacrifici umani: dato che le classi subalterne (e in questo caso soprattutto i Maya) sono le più propense a farsi ammaliare dal Drago, il Re istituisce un culto idolatrico della paura del Drago e chiede al suo popolo forse non di consegnargli i figli, ma almeno di girarsi dall’altra parte mentre si premura di far sparire i gruppi per loro natura pericolosi. Chiede insomma al suo popolo di sacrificare la Giustizia e la Verità in nome di una sicurezza vacua, promettendo di tenere a bada il mostro.

Ma la Chiesa sa che non è così che si sconfigge il Comunismo, come qualche anno prima spiegava Mons. Donal Lamont in Zimbawbue confrontandosi con la stessa retorica (prima di essere rispedito in Irlanda). San Giorgio dimostra al re iniquo che il mostro non si sconfigge dandogli continuamente da mangiare (perché questo si fa continuando ad opprimere i poveri), ma lottando per la Giustizia. Per questo San Giorgio, che non si piega alla logica del sacrificio all’Imperatore, viene martirizzato, per questo sono stati uccisi i martiri del Quiché: osavano predicare l’esistenza di un’altra soluzione al problema, osavano costruire un’alleanza tra le parti sociali che avrebbe annientato la retorica del comunismo così come quella del re conservatore.

Il fatto è che a forza di sacrifici prima o poi il vaso trabocca, i poveri finiscono le lacrime e toccherà al Re piangere. Magari decapiteranno il Re, ne faranno un altro, e il ciclo si ripeterà all’Infinito, solo l’idolo sarà sempre ben pasciuto. Ma se si convertiranno e si faranno battezzare, se abbandoneranno l’iniquità che si è annidata in ogni angolo della loro città, potrà esserci pace tra il Re e il Popolo e il Drago morirà di fame, la sua paura e la sua attrazione non attecchiranno più.

Ma è necessario che un innocente muoia, perché gli occhi dei carnefici in lotta tra loro si aprano.

PS: naturalmente in Guatemala era il comunismo, ma ogni sistema di potere affibbia al Drago il nome che più gli conviene.