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Perdonare in confessione

“ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6, 15)

Quando riceviamo il sacramento della Riconciliazione, siamo realmente davanti al tribunale celeste e al suo giusto giudice. La Chiesa ci chiede, in quest’occasione, di accusare le nostre colpe e chiedere perdono per ricevere l’assoluzione, e questo è senz’altro necessario e salutare. Tuttavia nella mia esperienza mi sono reso conto che talvolta non è sufficiente perché la nostra liberazione sia piena: il peccato è una catena che non si limita ad impedire i nostri movimenti, ma soprattutto ci incatena agli altri. Di più: spesso sono stati gli altri a farcela conoscere e a stringerla sulle nostre mani. Quando il Signore ci libera definitivamente da questa catena, la conseguenza è che non possiamo più farci perno, non possiamo più tirarla per farla pagare a chi ci ha fatto del male. Per questo molte volte ci restiamo avvinghiati (non intendo dire che l’assoluzione non sia valida, ma che ad esempio l’affezione resta e si torna presto a ricadere nelle stesse trappole), pur riconoscendo i nostri peccati e pur provandone dolore e vergogna.

Ciò che ho scoperto, dicevo, è che in quel tribunale celeste non prendiamo parte soltanto come imputati, ma anche come accusatori. E così ho sperimentato che perché la grazia penetri nel profondo e guarisca le ferite più purulente, è molto salutare rinunciare a questa posizione. Rimettere in confessione, esplicitamente, il debito di chi ci ha fatto un male per il quale eravamo completamente innocenti, chiedere per lui la grazia e rinunciare a qualunque risarcimento da parte sua, passare dal banco dell’accusa a quello della difesa, questo è un gesto che ci permette di lasciare la presa da quella maledetta catena e tornare persone libere.

La mia provocazione dunque è questa, per la prossima volta che andrete a confessarvi: chi è che non siete ancora riusciti a perdonare? E se pensate di esserci riusciti, siete sicuri di averlo detto ad alta voce, e che non sia soltanto un pensiero soggetto a svanire al primo cambio d’umore?